Cassandra, detta Key, 10 anni dopo - Capitan Kappa

Capitan Kappa
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Progetto: Emanuele Mazzocchetti
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Nel bene o nel male, il Capitano è sempre il Capitano.
1994 - Viaggio Nucleare
Prologo
Separatore
Cassandra detta Key, 10 anni dopo.
Le foto dei personaggi sono naturalmente casuali. Questa, ad esempio, è la nostra bellezza italiana Roberta Giarusso.
Asse, Schacht II
Martedi 14 Giugno 1994, ore 16;00. Viserba - RN - Centro Commerciale in costruzione.
 
Ero fuori della recinzione del cantiere, sul marciapiede della strada e stavo parlando con l'Architetto che aveva realizzato il progetto architettonico del nuovo centro commerciale.
 
Io progettavo strutture metalliche e in special modo facciate continue e coperture fotovoltaiche. Indossavo un paio di Jeans, una maglietta con il marchio Cagiva, le scarpe antinfortunistiche e l'elmetto arancione antinfortunistico. A parte scarpe ed elmetto mi vestivo così anche in Ufficio. All'epoca lavoravo per una azienda di Ravenna che consigliava la giacca e la cravatta, ma io me ne fregavo completamente.
 
Vidi passare una donna bellissima che mi guardava, aveva un viso famigliare ma li per li non ci feci caso.
 
Passarono circa 5 secondi e mi sentii chiamare da dietro: Lele!!! Ma sei davvero tu?"
 
Mi girai d'impulso e la riconobbi immediatamente. Avevo amato quella donna quando ero un ragazzino di 17 anni e lei ne aveva 16. Ne erano passati 10. Non mi imbarazzavo più molto facilmente, mi girai, chiesi all'Architetto se poteva attendermi un attimo, lui mi rispose ad alta voce: "Ingegner Mazzocchetti, la attendo nell'Ufficio di Cantiere, tenga presente che alle 18;00 vorrei andarmene". Gli risposi: "Ho con me tutti tutti i progetti, ci vorrà qualche minuto per spiegarle alcuni particolari. Sarò da lei verso le 17;30" e lui entro in Cantiere, naturalmente indossava giacca e cravatta e mi sembrava un pinguino nel deserto del Tènèrè.
 
Mi girai di nuovo verso la bellissima donna, era Cassandra, bella come dieci anni prima, ma adesso era una donna ed era meravigliosa. Le dissi: "Scusi? Sta parlando con me?" Feci finta di non riconoscerla.
 
Lei disse un po delusa: "Ma sono davvero tanto cambiata? Sono Cassandra, di Torre Pedrera, 10 anni fa mi conoscevi molto bene". Le scappo quella frase, vidi un po di imbarazzo.
 
La guardai dritto negli occhi: "Si, Key," (la chiamavo così, scritto e pronunciato in italiano, mi piaceva così) "mi ricordo molto bene di te e si, sei cambiata, sei ancora più bella di 10 anni fa ed è difficile perché eri talmente bella che pensavo a te come ad una attrice famosa e non capivo perché tu ti interessassi a uno come me", lo dissi sorridendo ma lo pensavo davvero.
 
Lei ebbe una reazione istintiva perché me la ritrovai abbracciata in un saluto dolce. Naturalmente era l'abbraccio di due amici che non si vedono da anni, ma a me faceva un certo effetto e da come stringeva probabilmente anche lei era emozionata.
 
"Ma che fai qui? Ti aspettavo a Settembre del 1984, sei un tantino in ritardo. Comunque meglio tardi che mai" mi disse sorridendo. Sembrava felice di rivedermi.
 
"Key, sono qui perché ho ricevuto l'incarico di progettare le strutture fotovoltaiche del nuovo Centro Commerciale, e non sono in ritardo di 10 anni, sono su questo marciapiede dal Settembre del 1984, sei tu che ti sei fatta vedere solo ora" le risposi scherzando, naturalmente.
 
Lei scoppiò a ridere, quando mi aveva conosciuto ero un ragazzo un po' pazzoide, la scuola la prendevo con grande filosofia, ma all'Università avevo cambiato registro. Ero sempre pazzoide, ma studiavo, seguivo le lezioni e mi ero laureato senza ritardi. Avevo fatto il tirocinio, mi ero iscritto all'Albo degli Ingegneri Meccanici, e non ancora contento, avevo preso una specializzazione in "Energie da Fonti Ecologiche e Rinnovabili".
 
Lei mi disse meravigliata: "Ma quel signore ti ha chiamato Ingegner Mazzocchetti, ti sei laureato? Quando ti conoscevo eri molto intelligente ma a scuola andavi un giorno si e due no!"
 
Le risposi con un filo di orgoglio: "Kay, ero un ragazzino, pensavo alle Moto, alle cazzate e a te, almeno nel tempo che ci siamo conosciuti. Le Scuole Superiori sono fatte apposta per permettere ai ragazzi di divertirsi nell'età più bella, poi si matura e bisogna seguire gli obiettivi che ci si erano prefissi. Si, mi sono laureato, sono Ingegnere Meccanico e ho una specializzazione in queste cazzate fotovoltaiche. E tu? Ricordo che eri molto brava al Liceo Classico, immagino che avrai tre o quattro dottorati".
 
Lei mi rispose con la voce tremante, evidentemente qualcosa era andato storto: "No Lele, non mi sono laureata, mi sono successe alcune cose che mi hanno costretto a interrompere gli studi alla fine del Liceo Classico. Ti andrebbe di andare a prendere un caffè cosi parliamo un po'? Ho sempre sperato di rivederti, prima o poi".
 
Io sapevo che dovevo dirgli di no, ma quello sguardo bellissimo velato di tristezza mi costrinse a dire di si.
 
Tirai fuori dal taschino il cellulare, era un Motorola Startac commercializzato in Italia dalla Italtel, all'epoca era una rarità.
 
Chiamai l'Architetto, gli confermai che sarei arrivato prima che partisse per discutere pochi dettagli e chiusi subito la chiamata.
 
Key era sempre più meravigliata.
 
"Dai Key, mi fa davvero molto piacere rivederti, andiamo a prendere un caffè insieme" le dissi e ci avviammo verso un bar di Viserba a poche decine di metri dal Cantiere.
 
Entrammo nel bar, non eravamo sul lungomare e nonostante la stagione turistica già iniziata non c'era molta gente. "Ci sediamo o ai fretta?" le chiesi. Mi prese per un braccio e mi tirò verso un tavolo, ci sedemmo uno di fianco all'altro. Lei ordino un gelato e io un caffè.
 
"E' bello sentirsi chiamare di nuovo Key, nessuno mi ha mai chiamato così, solo tu". mi disse.
 
"Cassandra è un bellissimo nome, ma Key è un diminutivo con cui si chiama una persona cara. Anche tu mi hai chiamato Lele, d'altronde mi chiamavano tutti così e gli amici lo fanno ancora, solo sul lavoro mi chiamano Ingegnere o Signor Mazzocchetti, ma preferirei che mi chiamassero Lele. Inoltre pronunciato da te dopo 10 anni mi evoca ricordi bellissimi", le sorrisi dicendolo, Emanuele, il mio nome, le piaceva molto ma avevo sempre preferito che mi chiamasse Lele, era semplice, facile da pronunciare e non aveva un significato importante come Emanuele.
 
"Non avrei mai immaginato di rivederti e sono davvero contenta. Tu, Lele, eri un ragazzo diverso da tutti quelli che conoscevo, avevi qualcosa che gli altri non avevano. Sembravi un duro, ma io vedevo lontano un chilometro che eri molto dolce.
Avevi una moto bellissima che adoravi e avevi anche quella da Cross che usavi per guidare fuoristrada come un pazzo, e io capivo quanta passione avevi per quelle moto, lavoravi d'estate per quella passione, tutti sapevano che non avevi bisogno di lavorare, ma tu volevi sentirti indipendente. Eri speciale, anche se ti nascondevi sotto una scorza di durezza. Ti ricordi quante cose abbiamo fatto con quella Cagiva? Si Chiamava SXT 125, lo ricordo ancora. Ero in vacanza a Villagrande, con la nonna, i ragazzi mi corteggiavano, ma io non vedevo l'ora che arrivasse la sera per vederti, e il sabato e la domenica erano i giorni più felici. Trenta giorni bellissimi, anche se mi ci vollero tre o quattro giorni per avvicinarti. Non ti chiamavano solo Lele, ti chiamavano anche il Boss, come Bruce Springsteen. Mi ricordo tutto come se fosse stato ieri" mi disse.

Era bella da morire, aveva un vestito rosso elegante, aveva cambiato il colore dei capelli, era bruna e adesso aveva delle sfumature rosse, la rendeva più donna e sentire quelle parole a distanza di 10 anni mi rendeva orgoglioso ed imbarazzato allo stesso tempo.
 
Ero tanto curioso di di sapere cosa la avesse costretta ad interrompere gli studi, non avrei voluto chiederglielo, ma quando la frequentavo 10 anni prima aveva dei voti altissimi, tanto che dai miei 6, 6--. 6+ e qualche bel voto nelle materie più scientifiche poteva sembrare che io fossi rincoglionito e lei intelligentissima. E lo era davvero, perché capiva che prendevo le Scuole Superiori con filosofia ma le avevo dimostrato più volte che sapevo e capivo cose che altri non capivano, ad esempio il fatto che quella giovane età sarebbe finita prima o poi e io volevo godermela, ma quando parlavamo di cose serie sapevo quello che dicevo.
 
Mi decisi e le chiesi: "Key, io forse non dovrei chiedertelo, non sono affari miei e se vuoi non rispondere, ma come mai non hai continuato gli studi? Ricordo che eri bravissima e che avevi intenzione di diventare Medico".
 
Lei si rattristi ma voleva spiegarmi: "Se tu non avessi fatto lo stronzo, fosti venuto a trovarmi e avessimo continuato a frequentarci, forse le cose sarebbero andate diversamente, ma tu eri il Boss, ti ronzavano intorno tutte le ragazze del paese e naturalmente tutte le turiste come me, e quando partii, sono più che sicura che ci hai messo meno di un giorno a sostituirmi con un'altra. E io, stupida tanto quanto innamorata di te, aspettavo che tu venissi da me. Ti ho telefonato a casa, sentivo che dicevi a tua Madre o a tuo Padre di dirmi che non c'eri. Sentivo il loro imbarazzo quando chiedevo di te. Ti ho scritto tante lettere. Ma tu non hai mai risposto".

Mandai giù il solito bolo di saliva da un chilo, non capivo se scherzava o se era davvero arrabbiata. Era vero, non ero andato a trovarla, e mi negavo al telefono, ma il motivo non erano altre ragazze.

Finalmente mi sorrise e disse: "Dai Lele, sto scherzando, avrai avuto i tuoi motivi per non venire da me, tu non hai colpe. Ma non posso negare che a quella età ho sofferto per te. Comunque la realtà e che quando frequentavo l'ultimo anno del Liceo, uscivo con un ragazzo più grande di noi, era di Torre Pedrera come me, non so se lo amavo veramente, ma rimasi incinta e finita la scuola mi trovai a dover decidere cosa fare. Decisi di tenere il bambino e di rinunciare all'Università. Non avevo compiuto ancora 21 anni quando partorii quel frugoletto. Ci sposammo dopo il parto, e due anni più tardi mi resi conto che avevo sposato una bestia. Ci volle tanto coraggio, ma trovai la forza lasciarlo, ci separammo, tornai a casa di mia Madre e adesso siamo divorziati. Non sono pentita, adesso il bambino a sei anni ed è la mia gioia di vita".

Rimandai giù un bolo di saliva da un chilo. Non sapevo se essere dispiaciuto o contento per lei e per quel bimbo che amava tanto.
Mi uscirono di bocca solo queste banali parole: "Kay, mi dispiace tanto .... no, sono contento perché sono sicuro che sei una Madre meravigliosa e io non posso immaginare quanta gioia può dare un figlio. Ma sono anche dispiaciuto perché ricordo che mi parlavi tanto della tua intenzione di diventare un ortopedico ..... scusami, ma non so cosa altro dire ..... non avrei mai immaginato".

Ma Kay non era solo bella e intelligente, era una donna molto forte, fu lei a togliermi dall'imbarazzo.

Mi sorrise e mi disse: "Hai sempre indossato quella maschera da duro, ma sei sempre il ragazzo dolce, sensibile e gentile che conoscevo. Non essere triste per me, la mia vita adesso è serena, ho un bambino che mi regala tanta gioia. Con me, quella maschera non ha mai funzionato. Anche se devo ammettere che per conoscerti è stata dura dieci anni fa, a Villagrande mi corteggiavano tanti ragazzi tranne te, e tu eri l'unico che mi affascinava. La vita è strana".

Le sorrisi e decisi di spiegarle.

Le dissi: "Kay, ma che maschera da duro. Si, forse con gli amici e le amiche del paese facevo il duro, ma quando arrivasti a Villagrande e ti vidi la prima sera al bar eri bellissima, non avevo mai visto nessuna tanto bella, ma eri circondata, c'erano tutti i figaioli del paese, anche quelli che già avevano la macchina. Mi resi immediatamente conto non avevo chanche con te. E decisi di comportarmi con indifferenza. Ma ogni sera che ti vedevo eri sempre più bella. Da un lato ero sicuro dentro di me di essere migliore di quei deficienti che ti sbavavano dietro, ma dall'altro ero timido, altro che duro. E la tua bellezza mi faceva sentire insicuro. Questa è la verità. Ero timido e insicuro. Adesso riderai, ma è la verità".

Lo dissi sinceramente, lei si mise a ridere, ma non sembrava una risata per schernirmi, sembrava più una risata di felicità.

Mi guardò dritto negli occhi, sembrava che il tempo non fosse passato, avevo l'impressione di essere tornato in dietro di dieci anni.

Fu lei a continuare: "Ricordi come ci siamo conosciuti? Ero li a Villagrande da tre giorni e tu non mi guardavi nemmeno in faccia. Vedevo la tua spavalderia con i tuoi amici e con le tue amiche, si, parecchi di loro ci provavano con me, ma non mi piacevano. Specialmente quello con la macchina, non ricordo nemmeno il nome, quello che faceva il muratore e che si comportava come se fosse un Casanova, ma era volgare, maleducato e arrogante. Era tuo amico, ma avevo notato che da parte tua non c'era tanta simpatia per lui. Ero sicura che sfruttava la tua popolarità e che tu te ne eri accorto, ma non lo avresti mai svelato. Scherzavate insieme, lui ci provava con me, ma tu non mi guardavi nemmeno.
Decisi che dovevo trovare il coraggio di avvicinarti, ma non sapevo come fare.
La quarta sera avevo un piano, ma avevo bisogno della collaborazione di una tua amica, possibilmente già impegnata.
Conoscevo abbastanza bene Maria, era fidanzata con Giovanni, lui aveva una piccola macchina ed erano ormai una coppia fissa.
La presi in disparte e gli dissi chiaramente che volevo salire sulla tua moto, con te, le dissi che mi piacevi ma che non mi guardavi nemmeno.
Quella sera c'era il torneo di calcio dei Bar, Giovanni giocava, ma tu giocavi con il bar Sparagna, quello del tuo simpatico zio, e quella sera il bar Sparagna non giocava.
Maria ebbe una idea, ci sedemmo una di fianco all'altra nella speranza che tu arrivassi al bar. C'era anche il Casanova, ma gli avevo fatto capire chiaramente che non ero interessata a lui.
Finalmente ti vidi arrivare con quella bellissima moto. Avevi un giacchetto da moto e un casco che ti facevano sembrare un Centurione Romano a cavallo.
Maria si alzò, e prima che scendessi dalla moto venne da te e ti chiese se potevi accompagnarla al Campetto di Calcio che c'era Giovanni che giocava,
ma che poi saresti dovuto tornare a prendere me perché volevo anche io andare al Campetto con Maria.
Io ero imbarazzata da morire ma cercavo di non mostrarlo.
Tu rispondesti di si a Maria ma che avrebbe dovuto mettere il casco, gli dicesti che non era obbligatorio ma che tuo Padre lo pretendeva, specialmente per la sicurezza di chi saliva con te e tu rispettavi molto tuo Padre per non ascoltarlo. A me mi si allargo il cuore perché capii che eri anche molto serio e coscienzioso, nonostante ti avevo visto fare dei numeri con quella moto che non avevo mai visto.
Scendesti dalla moto, prendesti un casco dal bauletto per Maria, la facesti salire e mentre stavate partendo ti fermasti davanti a me e per la prima volta dopo quattro giorni mi rivolgesti la parola e lo facesti con tanta gentilezza che capii che ero già completamente innamorata di te.
Mi dicesti: "Se aspetti un attimo arrivo a prenderti entro due minuti, la regola del casco purtroppo vale anche per te, l'ho promesso a mio Padre". Mi sorridesti per la prima volta e vidi tutta la tua dolcezza. Stavo per salire in moto con te ed ero la ragazza più felice del mondo".
Separatore
Asse, Schacht II
Asse, Schacht II
Eravamo in quel bar a Viserba, erano passati 10 anni, ma quello che mi stava raccontando ci aveva fatto tornare all'Agosto del 1984.
Le misi delicatamente un dito sulle labbra e le dissi: "Kay, adesso continuo io". E le sorrisi.

"Quella sera quando arrivai al Bar avevo ormai perso ogni speranza, eri seduta vicino a Maria, ma a poca distanza da voi c'era Guglielmo seduto su una sedia e con i piedi su un altra, il muratore, aveva due anni più di me ed è vero, non mi stava simpatico affatto ma per educazione mi comportavo da amico, e vederlo vicino a te con quella faccia da sbruffone mi dava fastidio. Ma lui aveva la macchina, io avevo la moto, e pensavo che sarebbe riuscito prima o poi a conquistarti.
Quasi non volevo fermarmi quella sera al bar quando lo vidi vicino a voi, ma continuavo a sperare che magari tu ti accorgessi che in fondo era solo un fantoccio.
Quando si avvicinò Maria per chiedermi se potevo accompagnarla al Campetto e se potevo tornare a prendere te non riuscivo a crederci.
E per la prima volta si accese un barlume di speranza nel mio giovane cuore. In fondo Guglielmo aveva la macchina, perché Maria aveva scelto me per accompagnarvi al Campetto? La mia moto era bella, ma la macchina di Guglielmo era più comoda a avrebbe potuto accompagnarvi lui con un viaggio solo.
Ma ero troppo felice e cercai di liberare la mente dai brutti pensieri.
Sapevo che Guglielmo era volgare, e quando mi rivolsi a te cercai di essere gentile, anche se non mi uscivano le parole di bocca. Eri troppo bella. Quando partii con la moto e con Maria dietro pensai che forse non dovevo importi l'uso del casco, pensai di averti offeso alla prima frase. Ma dovevo pensare positivo. Accelerai forte ed arrivai al Campetto, scesi lungo la strada sterrata che portava alle panchine alla velocità della luce, inchiodai, dissi a Maria di sbrigarsi e di rimettere il casco nel bauletto. Lei scese, si mise a ridere e mi disse: "Allora ti piace Cassandra, che coglione che sei, sono quattro giorni che aspetta che ti decidi a rivolgerti a lei, vai, non farla aspettare". A quelle parole di Maria mi vergognai, ma non potevo far vedere il mio imbarazza. Appena il casco fu dentro il bauletto tirai il freno davanti forte, Inclinai la moto ed accelerai per farla girare su se stessa. Alzai un polverone di breccia che sentivo che mi mandavano accidenti, ma feci la salita sterrata in impennata, detti uno sguardo alla strada, non passava nessuno e entrai sulla strada principale ancora con la ruota davanti sollevata. Arrivai al Bar ancora alla velocità della Luce ma rallentai per entrare nel parcheggio in modo che non ti accorgessi che avevo guidato come un pazzo.
Fermai la Cagiva 125 SXT, tu ti alzasti e venivi verso di me. Avevo il cuore che probabilmente aveva superato i 200 battiti al minuto, ma cercai di dimostrarmi calmo e tranquillo. Scesi dalla moto, tolsi il giacchetto della Dainese e ti dissi: "Io sono Emanuele, ma tutti mi chiamano Lele, potresti indossare questa giacca? Ha le protezioni sulle spalle, sui gomiti e sulla schiena, è molto sicura e anche se dobbiamo fare solo poche centinaia di metri mi sentirei più tranquillo se lo indossasti".
Tu mi rispondesti "Io sono Cassandra, grazie, lo indosso volentieri, e indosso volentieri anche il casco, tu non lo sai ma da quanto sono arrivata a Villagrande sono diventata appassionata di moto". Io non capivo bene, la tua bellezza era disarmante e mi rendevo finalmente conto che eri anche simpatica e gentile, non me lo aspettavo. Salimmo sulla moto, la accesi e sentii Guglelmo che gridava:" E tu Cassandra sali in moto con quello? Lui con quell'attrezzo è un pericolo pubblico". Mi scese un velo di rabbia sugli occhi. Tu gli rispondesti "Ma perché non vai a quel Paese?". Io Feci manovra e mi fermai di fronte a lui, stravaccato ancora sulle due sedie gli dissi: "Non so se sono un pericolo pubblico, ma potrei diventare un pericolo per te. Stai tranquillo, Cassandra arriverà a destinazione tranquilla e sicura. Ci si vede". E partimmo. Andavo poco più che a passo d'uomo, avevo in sella una ragazza meravigliosa e non volevo rovinarla, non me lo sarei mai perdonato.
Scesi la sterrata del Campetto con calma ed attenzione. Ti feci scendere, mi desti il casco e lo misi nel bauletto. Li per li pensai che ti fossi dimenticata di ridarmi la giacca, ma addosso a te, anche se ti stava un po lunga, era bellissima con i loghi della Cagiva e non avevo il coraggio di chiedertela. La panchina dove era seduta Marie era piena. Io pensavo che il mio incarico fosse finito e a malincuore sarei dovuto andarmene, ma tu mi dicesti: "Ti va di sederti un po con me? Dai, guardiamo la partita e mi piacerebbe conoscerti meglio, sono quattro giorni che aspetto di conoscerti. E a dire la verità e un po freschino e questa giacca e davvero molto calda e comoda". Kay, ti giuro che mi facesti mandare giù un bolo di saliva da un chilo, era pieno agosto e non era freddo, ma mi rendesti il ragazzo più felice del mondo. Ci sedemmo un po' in disparte. A me il Calcio non piaceva, ci giocavo, ma giusto per passare il tempo. Cominciammo a conoscerci, e mentre ci parlavamo capivo che mi eri entrata nel cuore. Fini la partita, i calciatori (per modo di dire, era il torneo dei Bar) e gli spettatori se ne andarono, si spensero le luci ma noi rimanemmo li. Passammo due ore a parlare, eri simpatica, gentile, mi facevi complimenti che non meritavo e io ti facevo complimenti che invece tu meritavi. Eri Stupenda più di quando avessi potuto immaginare. Non eri solo bellissima, eri una ragazza dolce, con una personalità gentile ed cortese. Eri Tutto quello che un ragazzo di 17 anni può desiderare da una ragazza. A mezzanotte e mezza mi dicesti: "Lele, è la mezza, io dovrei rientrare, probabilmente la nonna dorme, ma se è sveglia e tardo si preoccupa, ti va di accompagnarmi a casa?"
Partimmo con la moto, ti portai proprio sotto l'appartamento in cui eri in affitto, guidavo con calma e sicurezza, non volevo che pensassi che ero uno spericolato, anche se in realtà un po lo ero. Appena arrivati fermai la moto, ti feci scendere, tu levasti il casco e i tuoi bellissimi capelli ti scesero sulle spalle. Erano bellissimi.
Ci salutammo e mi dicesti: "Puoi togliere un attimo il casco?" Io non capivo, mi baciasti delicatamente sulle labbra, non era il mio primo bacio ma era di sicuro il più desiderato e bello. Poi mi chiedesti: "Hai un'altra giacca da moto a casa?". Continuavo a non capire ma risposi di si, ne avevo tre. E li mi rendesti ancora più felice perché mi dicesti: "Allora questo posso tenerlo io? Cosi sono sicura che domani ci rivedremo e passerai la serata con me". Ancora più felice ti dissi: "Cassandra, tieni la giacca, ma stai sicura che domani sera mi rivedrai anche se domani mattina si scatenasse l'apocalisse. Buonanotte, sei bellissima". Rimisi in casco e partii, andai piano fino a che non ti vidi chiudere la porta dallo specchietto e poi accelerai. Kay, ero il ragazzo più felice della Terra, anzi no, ero il più felice del Sistema Solare, anzi no, ero il più felice dell'intero universo. Mi sentivo quasi un alieno. Mi piaceva molto lavorare come elettricista con mio cugino Efrem, ma quella era una delle poche volte che avrei preferito non aver scelto di non lavorare d'estate. E se il mattino dopo fosse arrivato il diavolo per scatenare l'apocalisse lo avrei preso a calci in culo con gli stivali da Cross con la punta di ferro e l'avrei scacciato col culo in fiamme e le lacrime agli occhi pur di rivederti la sera.

Dentro quel bar di Viserba eravamo tornati nel 1984, Kay mi guardava con uno sguardo languido che come mi guardava quella sera di dieci anni prima al Campetto e come mi aveva guardato per tutto il mese di Agosto del 1984.
Aveva gli occhi lucidi e li avevo anche io.

Poi mi ricordai dove ero e che stavo parlando con una donna bellissima che apparteneva al mio passato, ma adesso lei aveva un figlio ed era stata sposata.
Non sapevo più niente di lei e non potevo flirtare con lei come dieci anni prima.
Asse, Schacht II
Le dissi: "Kay, è stato molto bello rivederti, sei sempre una donna meravigliosa, ma adesso devo andare o faro tardi per parlare con quell'Architetto con l'abito di cemento".
Feci per alzarmi, ma lei mi prese per un polso e mi trattenne.

Mi guardo con sguardo triste e disse: "Lele, sono appena le 17;00, vorrei farti solo un paio di domande e poi ti lascio andare".
Nella vita ti vieni a trovare in determinate situazioni in cui non puoi dire di no a una donna, specialmente una donna con quello sguardo.

Le dissi solo: " E come faccio a dirti di no? Non ci riuscivo dieci anni fa e non ci riesco adesso. Due domante, poi dovrò andarmene per forza o farò davvero tardi".

Lei sorrise: "A parte gli sudi, l'Ingegneria e il lavoro non mi hai detto niente di te, di cosa hai fatto in questi dieci anni. Sei fidanzato? Sposato? Hai anche tu dei figli?"

Le risposi imbarazzato: "Kai, non sono sposato, ne fidanzato e non ho figli. Ho ancora la passione per le moto, ne ho tre adesso, una più bella e più potente dell'altra. Ho viaggiato molto con le moto, in Italia, in Europa e anche in Africa, nel deserto. Ho corso i campionati di Cross, prima il regionale, poi l'Interregionale e poi in campionato Italiano. Tra studi, lavoro e questa passione non ho mai avuto il tempo da dedicare alle donne. La mia vita è stata questa".

Lei mi disse: "Questa non la bevo, avrai avuto tante donne che non riesci nemmeno a tenerne conto". Le risposi: "Kay, Qualcuna lo frequentata, per brevi periodi, ma ho sempre cercato in loro la dolcezza e la bellezza di una ragazza che ho conosciuto quando ero poco più che un ragazzino, non l'ho mai trovata in nessuna". Lo dicevo sorridendo ma c'era un fondo di verità nelle mie parole e mi resi conto che era quello che voleva sentire. Sorrise e mi disse: "Usciresti qualche volta con una donna divorziata e con un figlo? Anche solo in amicizia". Sapevo dove voleva arrivare e non sapevo bene cosa rispondere. Lei era incantevole, la vedevo con gli stessi occhi con cui la guardavo dieci anni prima e mi accorsi che anche lei mi guardava così.

Le risposi: "Certo, farei di tutto per sentirmi come mi faceva sentire quella ragazza".

Mi strinse delicatamente una mano e mi disse: "Allora dammi il numero di quel bel cellulare che hai nel taschino, vorrei sentirti, non importa se non vorrai uscire con me, ma non voglio perderti di vista di nuovo".

Adesso non avevo proprio idea di cosa fare. La mia mano si mosse da sola, prese il portafoglio dalla tasca posteriore dei Jeans e le detti un biglietto da visita.
Le dissi: "Kay, chiamami, nemmeno io voglio perderti di vista, l'ho fatto una volta, non voglio farlo mai più".
Mi alzai in piedi, si alzo anche lei e disse: "Ingegner Mazzocchetti" ma non gli veniva, " Lele, ora ti Lascio andare, ma se ti azzardi a non rispondere al telefono, questa volta vengo a cercarti e ti troverò, ovunque tu sarai e non ti basterà la moto più potente del mondo per nasconderti" si allungo e mi diede un altro bacio dolce sfiorandomi le labbra.

Sapevo che mi stavo cacciando in qualcosa di complicato, ma ci sono cose che un uomo deve fare, e io volevo farlo.

Pagai il conto, la salutai e me ne andai seguito dal suo bellissimo sguardo.

Era felice, lo ero anche io, ero anche un po preoccupato, ma come dieci anni prima allontanai i brutti pensieri. Era sempre lei, la più bella del reame. Era la ragazza che anche solo per un mese avevo amato più di tutte le altre messe insieme.

Andai alla Baracca di Cantiere, l'Architetto aveva una cinquantina d'anni, era impanzolito e non capivo come potesse sentirsi dentro quel vestito, io mi sarei sentito come se mi avessero intonacato, ma lui era un Artista, o almeno era quello che pensava di essere.

Non capiva in cazzo ne di architettura, ne di arte e tanto meno di facciata continue e coperture fotovoltaiche, probabilmente era un burocrate che disegnava uno schizzo a mano libera e faceva fare il tutto a qualche geometra che probabilmente era molto più bravo di lui. Prima di laurearmi mi ero diplomato all'Istituto Tecnico per Geometri e sapevo che in realtà il grosso del lavoro architettonico lo svolgevano loro.

Mi guardava dall'alto al basso come se fossi un manovale, lui disegnava una riga storta e io ero quello che poi doveva fare i progetti esecutivi da adattare alle sue cazzate.

Mi sbrigai in una mezz'oretta, lui non guardava nemmeno, io ero un tecnico, lui l'Artista. Avevo voglia di dirgli quello che pensavo delle cazzate che faceva, ma lo consideravo troppo imbecille per umiliarlo.

Alle 18:03 si alzo dalla sedia, mi disse di inviargli i progetti esecutivi con i calcoli statici ed energetici e se ne andò.

Uscii dal cantiere, mi tolsi elmetto e scarpe antinfortunistiche, salii sulla Alfa Romeo 75 Twin Spark 2.0 e partii sparato verso i miei monti.
Era Martedì e il successivo Lunedì sarei partito per un viaggio in moto.

Guidavo veloce, l'Alfona rombava e consumava come un aereo, ma era davvero divertente. In 45 minuti ero sui miei amati monti.
Separatore
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